Italia – Capo Nord in auto, solo tenda e sacco a pelo

Cari amici wild, oggi non vi chiederò di allacciare le cinture dell’aereo e chiudere la cappelliera perché il viaggio che vi farò vivere attraverso le mie parole racconta di un’impresa epica ed emozionante. Un viaggio la cui meta non è meno importante di tutta la strada percorsa per arrivarci, uno di quelli che lascia in bocca il sapore forte e frizzante della conquista.

Ho atteso la metà di luglio e avevo programmato ogni tappa del road trip che all’inizio sembrava solo un sogno su carta.

Volevo fosse selvaggio, indimenticabile, fuori dagli schemi, vero e avventuroso.

Se lo è stato? Beh, molto di più di tutto ciò in realtà.

La mattina della partenza avevamo davanti a noi un più o meno 10.000 km, tante esperienze e tante speranze. Carichi di aspettative siamo partiti spensierati, pronti per fare spazio a nuovi posti da amare. 

Fu così che la nostra Fofi ( il nome della nostra macchina, grandissima e fedele  compagna di viaggio), ci condusse senza intoppi a Stoccarda prima meta del nostro epico Viaggio on the road.

La cittadina era casualmente in festa e questo ha reso l’accoglienza ancora più calda e divertente. Dopo una tappa obbligatoria al museo della Mercedes, attirati da profumi incredibili, ci siamo fiondati tra le bancarelle in cerca di sapori nuovi. E così che addentando una speciale focaccia di patate ho dato il primo morso a questo viaggio che da subito si stava rivelando stupefacente. Quella sera, tra musica dal vivo al profumo di birra ci siamo fatti trasportare dal piacevole ritmo della festa. La prima notte in tenda è stata tranquilla, un bel prato verde era tutto quello che ci serviva.

Al mattino partenza alle prime luci per raggiungere l’estremo e affascinante nord della Germania, Amburgo. 

Piena di canali e dall’aspetto nordeuropeo, Amburgo si presenta a noi come una città grande e organizzata. Quello che più ho adorato però sono state le casette di campagna con i tetti in paglia, il paesaggio era diverso e le giornate più lunghe. Ci siamo preparati già da quel momento a vivere la presenza del sole in maniera più intensa, sapevamo che una volta in Norvegia il sole non sarebbe più tramontato e avremmo dormito sotto il sole di mezzanotte.

La Danimarca, il giorno dopo ci riserva il primo intoppo ma che in realtà si è rivelato il più bello di sempre perché ci ha permesso di scoprire lo Jutland Danese con i suoi paesaggi lasciati nelle mani della natura.

 Un luogo in cui il costante vento sferzante si diverte a plasmare dune di sabbia e creare correnti tra il mar Baltico e il Mar del Nord, un luogo autentico selvaggio e aspro.

Il nord danese non era nei piani, ma come in tutti i viaggi c’è sempre un po di improvvisazione e un errore nella prenotazione del traghetto ci ha riservato piccoli paesi di pescatori con il vento in faccia al profumo di salsedine. Abbiamo apprezzato il rumore del mare impetuoso che urlava ad ogni onda infranta la sua potenza e la sua energia. Ci siamo accampati in prossimità di una spiaggia deserta e lontano dal centro abitato, c’era solo un bagno di recente costruzione, era pulito e profumava di cemento appena steso. E’ stato il nostro campo base per ben tre giorni e per noi quel luogo dimenticato da tutti è stato determinante per darci la forza e il coraggio sufficienti ad affrontare la sfida che avevamo intrapreso e che dopo il “ problema” con il traghetto ci aveva un pò scoraggiati. 

In quelle ventose sere stellate ad un certo punto avevamo pensato di mollare tutto e tornare indietro, avevamo interpretato quello del perdere il traghetto come un segno del destino, rivelatore di qualcosa che per fortuna non è mai accaduto. 

Poi ci siamo detti che era tutto troppo bello fino a quel momento e che valeva la pena di vedere cosa ci avrebbe riservato il resto della strada.

Prenotammo così un costosissimo biglietto last minute e ci imbarcammo, saliti a bordo della fofi, eravamo emozionati perché la strada verso Capo Nord era ufficialmente sulla nostra rotta. 

Sbarcati a Kristiansand eravamo stanchi ma non ciechi per non renderci conto della bellezza quasi illegale della Norvegia dei fiordi. 

Fui presa dall’improvvisa sensazione che il popolo norvegese adorasse la natura abbondante e ricca della loro nazione, tanto da adagiare le loro vite in punta di piedi sui manti erbosi. Pareva quasi che le loro deliziose e suggestive casette in legno fossero state appoggiate in silenzio per le strade, senza sradicare e cementare ma uniformandosi pienamente all’ambiente, dall’anima pura e dall’aria fresca.

Il nostro amore per la natura in Norvegia fu ripagato immediatamente, si poteva campeggiare liberamente ovunque e ogni piazzola di sosta tra il verde, i fiordi e i laghi era ben attrezzata per spingere ogni avventuriero a passare la notte in tenda. Ogni centimetro di strada percorsa era un buon posto per piazzare la tenda, ad ogni ciglio e senza difficoltà vi erano insenature che sfociavano in veri e propri parchi naturali, quelle notti soleggiate in tenda, sono state le più belle e luminose della mia vita. 

Il sole restando tutta la notte come un continuo tramonto faceva compagnia e al mattino aprire la tenda e respirare il profumo di bosco con la vista su incantevoli laghetti mi riempiva di gratitudine.

Ho imparato ad apprezzare il silenzio, il tempo e il valore della pazienza.

Non avere troppi confort non mi pesava ma ogni cosa andava fatta bene e una sola volta per essere organizzati e ordinati.

Il nostro viaggio verso nord, non poteva non passare per uno dei trekking più famosi al mondo, il Preikestolen.

Da veri viaggiatori zaino in spalla, decidiamo di lasciare la nostra auto molto prima dei parcheggi che consentivano l’accesso al parco, valeva la pena risalire a piedi anche se quella decisione mi è costata una infiammazione al tendine.

Il percorso mozzafiato e immerso nella natura era rovinato dalle troppe persone che non avevano la minima idea di cosa fosse quel posto se non solo uno sfondo per il classico e sgradevole selfie sullo strapiombo. 

La bruttura di un luogo divenuto oramai noto è che bisogna poi condividerlo con i turisti, che con scarpe e abbigliamento inadatto, a tratti, erano pericolosi per loro stessi e per gli altri.

Dopo aver assistito a numerose e rovinose cadute di chi al posto di apprezzare il momento di quella passeggiata guardava il cellulare, giungemmo sulla famosa roccia del pulpito. Un posto da brividi, sia per la bellezza che per l’eccessiva quantità di gente che stremata si lasciava cadere in ogni angolo per terra creando un tappeto umano e chiassoso, in un luogo dove vorresti solo sentire il suono del vento nella gola del fiordo. 

Il giorno dopo ci saluta con una fitta nebbiolina, il rumore dei campanacci delle pecore attorno a noi e qualche renna curiosa che da lontana scrutava la nostra tenda verde.

Il mattino me lo godevo in silenzio, osservavo la vita attorno a me ed io ero l’ospite di quei boschi incontaminati dall’acqua pura e gelida. 

Era un momento tutto per noi, fatto delle nostre consuetudini in posti nuovi ma che riuscivano ad essere intimi e personali. 

La strada per raggiungere Bergen era lunga e le soste per ammirare le meraviglie tante.

Quel giorno scegliemmo di percorrere una strada alternativa che ci ha condotti in alto, salendo tra le curve della montagna iniziavamo ad intravedere la neve e benché fosse luglio i cigli delle strade ne erano pieni.

Salendo, abbiamo trovato proprio quello che cercavamo: la calma, la pace e l’assenza di camper o auto.

Eravamo noi, le stradine strette di quella montagna e le renne che assonnate bloccavano il percorso, regalandoci degli attimi tutti per noi.

Decidemmo di consumare il pasto li, come al solito avevamo fatto la spesa, ci serviva solo una cornice perfetta.

Ad un tratto dal finestrino dell’auto intravidi un piccolo e turchese laghetto acciottolato proprio alle spalle di un’abitazione in legno. 

Accostandoci decidemmo che quello era il posto perfetto, con i piedi ammollo nell’acqua gelida abbiamo gustato non solo il pranzo ma anche il delizioso momento di pace all’aria pura. Alla nostra destra un’immensa vallata verde e alle nostre spalle la neve. Era pieno di energie quel posto e vibravano tutte dentro di me.

Bergen non fu invece stupefacente, era impacchettata per le orde dei turisti che dalle navi da crociera, si accingevano ad acquistare cibo in un finto mercato tipico, colonizzato e condotto  da spagnoli che di locale non aveva un granché. 

Prezzi folli e cibo non autentico tra le mani di turisti che di quel posto avevano compreso poco.

Camminando per le vie della città però una piccola panetteria attirò il mio olfatto con il profumo di cannella nell’aria. Presi subito il dolce che sfornavano e fu li che mi innamorai del cinnamom rolls tanto da non poterne più fare a meno. 

Il giorno dopo arrivò prestissimo, disorientati dalla costante luce, a volte, continuavamo a guidare anche fino a tardi per poi renderci conto che era proprio l’ora di montare la tenda. 

Superare il circolo polare artico, era un piccolo traguardo di una grande impresa. Piantammo anche noi il nostro sasso sui numerosi totem, il paesaggio era cambiato la Norvegia dei fiordi aveva ceduto il passo ad una Norvegia più brulla e aspra ma altrettanto emozionante, sembrava quasi un pianeta diverso. Giunti all’ora del perenne tramonto la luce era calda e il terreno rosso, sembrava quasi di essere su Marte ma in realtà era molto di più. 

Dopo una traversata in traghetto da Bodo, raggiungemmo le impareggiabili isole Lofoten, ma data la notorietà del luogo non volevamo incappare nella spiacevole sorpresa del Preikestolen, fu così che prima delle 7 del mattino eravamo giunti in cima al monte la cui vista ha reso famosa la località.

Un trekking sfiancante e impegnativo ma la vista, giunti in cima, superava la mia immaginazione e la cosa più bella era che eravamo solo noi a godere di quei colori.

Decidemmo di scendere quando i primi temerari armati di stecca per il selfie comparvero all’orizzonte.

Quel giorno c’era un sole  meraviglioso, le spiagge candide delle Lofoten mi attirarono a loro e fu così che cedetti alla tentazione di fare il bagno nel mare gelido oltre il circolo polare artico.

Raggiungere Tromso, il giorno dopo, aveva un pizzico di malinconia e allo stesso tempo di emozione perché era la meta prima di Capo Nord e volevo vivere tutto a mille per immagazzinare in me il più possibile. 

Tromso era freddissima e ventosa, una grande città raggiunta solo dai più temerari che nei viaggi si spingono davvero al limite. 

Non c’era più il turismo da navi da crociera già da un po e si poteva vivere in maniera più autentica la passeggiata per le strade e nelle vite dei norvegesi. 

Si avvertiva una sensazione di sicurezza sociale, nessuno sentiva il bisogno di creare confini e recinzioni tra i giardini delle case e la strada, sembrava un paradiso senza cattiveria. 

Ci riposammo un po quel giorno per accogliere quello seguente, quando intravidi il primo segnale per Capo Nord lungo la strada non potei bloccare il sorriso sulle labbra. Eravamo vicini, l’aria era sempre più fredda, il paesaggio meno lussureggiante a causa delle temperature estreme e sopratutto numerose e dolci renne libere ovunque.

Una volta imboccata la strada che portava diritta alla meta senza ulteriori svolte, sapevo che i compagni di viaggio lungo la nostra stessa carreggiata erano tutti diretti lì, ai confini d’Europa, al punto più a nord dell’Europa continentale. 

Così scrutavo i volti di chi lo stava raggiungendo a piedi, in bici e noi che dall’Italia a bordo della nostra auto eravamo insieme a loro tutti ansiosi di vivere la nostra personale emozione. 

Giunti all’ingresso e pagato il biglietto, in silenzio parcheggiammo, scendemmo dall’auto, ci abbracciamo consapevoli che eravamo riusciti nell’impresa, ci avevamo creduto e il sapore di aver conquistato quel posto km per km era dolce e buono.

Fummo interrotti dal chiasso di un’altra coppia che dalla gioia non seppero trattenere le urla. 

Subito dopo il parcheggio, la visione del globo mi fece tremare le ginocchia così impugnai la mia Canon e con il dito deciso scattai il mio trofeo.

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